La chirurgia articolare mininvasiva viene eseguita utilizzando mini incisioni della cute con il minor danno possibile. Questa metodica si è sviluppata a partire degli anni ’70 con il progredire delle tecnologie legate allo strumentario chirurgico.

Tra i vantaggi ricordiamo:

  • riduzione del periodo di ospedalizzazione riducendo il periodo di ricovero

  • minor traumatismo rispetto agli interventi chirurgici con metodica standard

  • riduzione dell’utilizzo di risorse umane e finanziarie

  • riduzione dell’incidenza di complicazioni post-chirurgiche

  • minor dolore e preoccupazione per i pazienti 

La chirurgia articolare mini invasiva non è sinonimo di chirurgia minore in quanto oggi viene utilizzata di routine per complessi interventi chirurgici. E’ anche vero che una piccola incisione non significa che si è utilizzata una procedura mini invasiva. In realtà al di là delle particolari tecniche la filosofia di questa metodica è di ricorrere a tutte le risorse tecnologiche e di conoscenza scientifica disponibili per creare il minor traumatismo al paziente sia fisico che psichico.

Tipicamente questi mezzi sono caratterizzati dall’utilizzo di apparecchiature per immagini che usano telecamere e strumentari miniaturizzati per porre diagnosi e risolvere chirurgicamente il problema. Esistono anche procedure differenti che utilizzano strumentari chirurgici modificati e vie di accesso alternative che sono in grado di permettere di impiantare protesi di anca, ginocchio e caviglia con un danno anatomico ridotto.

Tra le attività principali di cui mi occupo insieme ai miei collaboratori ricordo:

  1. trattamento delle lesioni sportive

  2. trattamento delle lesioni capsulo-legamentose di ginocchio, spalla, anca e caviglia

  3. chirurgia ricostruttiva e protesica di ginocchio, anca e caviglia

 

La crescente automazione avvenuta dalla fine della seconda guerra mondiale ha consentito alla popolazione italiana di avere a disposizione più tempo libero da dedicare alle attività sportive. Come conseguenza si è assistito ad un incremento delle lesioni traumatiche. Se si osserva il numero di sportivi che si recano giornalmente in un P.S. si può notare che questi rappresentano una percentuale molto elevata del totale degli infortunati. Questo dato invita a riflettere sulle cause di una così elevata incidenza traumatica nello sport, non spiegabile solo con l’aumento del numero dei praticanti. Esistono infatti almeno 4 fattori responsabili di questo fenomeno: 1) il notevole incremento delle prestazioni sportive 2) un sempre più elevato agonismo 3) un precoce inizio dell’attività sportiva agonistica 4) un maggior numero di soggetti sportivi in età adulta o avanzata.

La ricerca delle cause di infortunio, il trattamento e la prevenzione soprattutto dei soggetti in accrescimento, rappresentano il motivo per cui è nata la traumatologia dello sport.

Attualmente esistono diverse definizioni alcune molto diverse tra loro ma che vengono applicate in modo utilitaristico a secondo dello scopo che si vuole ottenere. Frequentemente viene associata alla chirurgia del ginocchio in quanto negli ultimi anni entrambe hanno avuto un grosso sviluppo soprattutto per quanto riguarda la traumatologia capsulo-legamentosa. Questa definizione è decisamente riduttiva in quanto il trattamento delle lesioni del ginocchio rappresenta una piccola parte di questa materia. Ma soprattutto non rispecchia le finalità per le quali è nata e si è sviluppata nel corso degli anni.

Le basi della traumatologia dello sport traggono origine dall’interesse di alcuni medici italiani che si occupavano di malattie del lavoro che quasi cent’anni fa si accorsero della somiglianza di queste con quelle sportive. Dopo pochi anni (1929) venne fondata la società di Medicina dello Sport e nel 1980 un gruppo di ortopedici fondò la prima società di traumatologia dello sport nel mondo. In seguito queste società si sono moltiplicate ed anche in Europa abbiamo assistito ad un notevole incremento che le ha portare a confederarsi nell’ EFOST che regolarmente svolge il suo congresso.

Quello che caratterizza queste società è la diversa filosofia di approccio alle lesioni sportive. Questa viene vista come l’ultimo atto di un concatenarsi di eventi dei quali occorre riconoscerne le cause e trovarne i rimedi. In questa ricerca sono accomunati sia gli ortopedici ma soprattutto i medici dello sport, i fisiatri, gli allenatori ed i fisioterapisti. Oltre a questi partecipano fisiologi, biologi, bioingegneri ed altre figure che man mano si vanno ad aggiungere anche a secondo del particolare momento storico. Ad esempio attualmente hanno assunto particolare importanza i medici legali.

E’ chiaro quindi che il trattamento delle lesioni sportive non è l’unico scopo che si prefigge la traumatologia dello sport anche se rappresenta l’aspetto, forse, più evidente.

In questo campo vi è una differenza che consiste nello studio particolarmente attento delle lesioni croniche più che di quelle acute in quanto tipiche di ogni sport. Mentre la distorsione di ginocchio è una lesione a cui può andare incontro sia la persona sedentaria che lo sportivo agonista in quasi tutte le discipline, ad esempio il “ginocchio del saltatore” è tipico solo di alcuni sport. Le lesioni di questo tipo chiamate da sovraccarico funzionale sono le più temibili in quanto nel momento in cui si manifestano si trovano già nello stato più grave e difficilmente curabile come nel caso delle sindromi retto-adduttorie (pubalgia). L’unico rimedio quindi è prevenire l’insorgere di tali malattie agendo su fattori intrinseci ed estrinseci. I fattori intrinseci sono quelli legati alla conformazione dell’atleta, anche da un punto di vista dinamico. In questo modo risulta fondamentale la correzione di alcune deformità come un eccesso di pronazione della sottoastragalica, una dismetria degli arti inferiori, le rigidità articolari che possono essere del tutto ininfluenti nella vita quotidiana ma diventano estremamente importanti nella vita agonistica. I fattori estrinseci sono legati al tipo di sport praticato e quindi è necessario che il medico sia a conoscenza delle caratteristiche tecniche dello sport praticato in modo da agire velocemente e con appropriatezza. Spesso è necessario conoscere anche i metodi di allenamento, i tempi di applicazione degli esercizi, gli attrezzi utilizzati. Frequentemente si ottiene una rapida e completa guarigione solo modificando ad es. l’altezza della sella ed il tipo di pedale in un ciclista, oppure riducendo la durata di un allenamento.

Le patologie traumatiche dell’accrescimento rientrano nel campo di applicazione della traumatologia dello Sport. La loro importanza risiede nel fatto che il maggior numero di sportivi in assoluto è compresa nella fascia di età che va da 10 ai 20 anni e quindi nel periodo nel quale la maggior parte degli individui è ancora nella fase di accrescimento. Spesso banali affezioni non vengono diagnosticate ai primi sintomi perché non conosciute e quindi nel tempo tendono ad aggravarsi fino a portare talvolta a lesioni invalidanti non solo per lo sport ma anche per la vita di relazione. In altri casi viene riconosciuta la lesione ma esistono altre motivazioni per evitare che l’atleta osservi un periodo di riposo o si sottoponga ad un trattamento adeguato. Purtroppo esiste anche il problema delle lesioni dovute al doping : questo fenomeno è molto più radicato di quello che si pensa ed è in grado di creare lesioni dell’apparato locomotore sconosciute fino a poco tempo fa.

La tutela di questi soggetti in accrescimento è fondamentale per evitare che lo sport sia causa di lesioni invalidanti per la vita futura.

La prevenzione a qualsiasi livello è quindi il fine ultimo che si prefigge la traumatologia dello sport. Ma per poter arrivare a questo è necessario conoscere tutti gli elementi che causano l’infortunio e l’unico modo è la ricerca scientifica che viene applicata seguendo 2 strade principali: la ricerca clinico-epidemiologica e quella sperimentale. I risultati ottenuti ci premettono di interpretare in maniera più obiettiva alcune impressioni che si ottengono osservando le fasi di gioco e quindi di permettere all’atleta di ottenere migliori risultati e di diminuire la lesività dello sport praticato. Inoltre sono fondamentali per attuare la migliore forma di prevenzione possibile cioè quella collettiva. Infatti il sistema migliore di proteggere gli atleti è quella di modificare i regolamenti di gioco per evitare potenziali situazioni lesive. In questo campo si è fatto molto grazie alle ricerche eseguite in tutto il mondo per ogni singolo sport. Ad esempio nel calcio vengono puniti gli interventi da dietro perchè più difficili da prevedere per l’atleta e quindi più rischiosi; nel rugby sono stati impediti alcuni tipi di placcaggio e meglio regolamentate le mischie chiuse, nel ciclismo è obbligatorio l’uso del casco. In generale si può affermare che in ogni singolo sport vi sono stati dei miglioramenti sensibili per quanto riguarda la sicurezza dell’atleta ma occorre ricordare che nel frattempo si sono modificati alcuni fattori come i materiali impiegati, l’aumentata forza muscolare degli atleti, l’aggressività di gioco e quindi si sono manifestate altre patologie generate da fattori nuovi. Ad esempio nel calcio l’uso dei tacchetti lamellari ha modificato la lesività del ginocchio, oppure il tipo di gioco e l’aggressività ha aumentato il rischio di traumi contusivi in competizione. Nello sci la diffusione dei modelli “carvin” ha radicalmente modificato il rischio traumatico.

E’ quindi necessario che nonostante i successi ottenuti dal lavoro scientifico della traumatologia dello sport si continui a produrre nuove ricerche per adattarsi sempre meglio a i cambiamenti che avvengono nell’attività sportiva.

Ginocchio

Da oltre 25 anni trattiamo le lesioni articolari del ginocchio quasi esclusivamente in artroscopia. Ogni anno eseguiamo oltre 200 interventi di ricostruzione di 1° impianto del legamento crociato anteriore (LCA) utilizzando le tecniche più recenti ed innovative. Nel corso degli ultimi anni abbiamo sperimentato diverse soluzioni tecniche, meccaniche (uso degli allograft, di leg. artificiali) e biologiche (uso dei fattori di crescita, di cellule staminali) per migliorare la qualità dei nostri impianti. I risultati dei nostri controlli clinici sono stati oggetto di relazioni ed articoli originali pubblicati su riviste internazionali.

Attualmente utilizziamo, di routine la tecnica a doppio fascio con tendine semitendinoso e gracile che permette la ricostruzione anatomica del legamento migliorando la stabilità e la biomeccanica articolare.

Nelle revisioni delle ricostruzioni del LCA (2° impianto) utilizziamo preferenzialmente il tendine semitendinoso e gracile controlaterale o gli allograft con tecnica a singolo e doppio fascio.

Nelle lesioni del legamento Crociato Posteriore (LCP) dopo aver confrontato i dati dei nostri pazienti sottoposti a ricostruzione con tecniche a singolo e a doppio fascio e con tendini diversi attualmente preferiamo conservare il tessuto residuo del LCP ed eseguire un’ augmentation con tendine allograft.

Sempre più frequentemente eseguiamo ricostruzioni postero-laterali associate o meno alla ricostruzione del LCP.

 

TRATTAMENTO DELLE LESIONI CARTILAGINEE

E’ oggi possibile trattare chirurgicamente le lesioni della cartilagine articolare con diverse tecniche in grado di fornire risultati soddisfacenti a distanza di tempo.

Possiamo utilizzare trattamenti diversi in base al tipo di lesione (profondità e dimensione) ed alle caratteristiche del paziente: il trapianto di cartilagine, nuove tecniche di stimolazione attraverso i fattori di crescita, applicazione di cellule staminali nella sede del difetto tissutale con copertura con materiale bio-ingegnerizzato, oltre alle tecniche tradizionali che nel corso degli anni si sono perfezionate ed evolute e che permettono a tutt’oggi di ottenere risultati comparabili a quelle più innovative.

 

TRATTAMENTO DELLE LESIONI MENISCALI

Alcuni anni fa il trattamento delle lesioni meniscali era basato sulla semplice asportazione talvolta completa. Attualmente con l’avvento della metodica artroscopica e con l’ausilio di strumentari sempre più adatti allo scopo è possibile trattare mediante una tecnica conservativa quasi tutte le rotture meniscali. Infatti è possibile suturare in modo semplice e sicuro un grosso numero di lesioni soprattutto del menisco mediale favorendo un ripristino della biomeccanica articolare ed una drastica riduzione dell’artrosi post-meniscectomia che rappresenta una complicazione certa nei casi di asportazione anche parziale della cartilagine articolare.

Nei casi nei quali il menisco è assente o notevolmente ridotto procediamo ad un trapianto di menisco utilizzandone uno proveniente da un soggetto deceduto. Tutti gli allograft provengono dalla nostra banca dei tessuti che è collocata all’interno del Nostro Istituto. La tecnica prevede una corretta misurazione delle dimensioni del piatto tibiale per poter ottenere un menisco da donatore con caratteristiche adatte ed il suo impianto eseguito in artroscopia.

 

 

Spalla

La spalla viene considerata una regione anatomica nella quale vi sono 3 articolazioni vere (gleno-omerale, sterno-claveare, acromion-claveare) e 2 funzionali (sotto-acromiale, scapolo-toracica). Spesso l’art. gleno-omerale si lussa per eventi traumatici o microtraumatici.
Quando le lussazioni avvengono ripetutamente, anche a distanza di molto tempo, si parla di lussazione recidivante.  

Negli ultimi anni il miglioramento delle tecniche in artroscopia ha portato notevoli miglioramenti nei risultati. Il vantaggio di non incidere i muscoli e la precisione nella riparazione della lesione rendono questa tecnica più adatta a pazienti giovani, con poche lussazioni o con situazioni di microinstabilità. La tecnica che utilizziamo prevede l’utilizzo di “ancorette” in titanio o acido polilattico riassorbibile dalle quali fuoriescono fili ad alta resistenza che vengono passati e legati attorno alla capsula articolare e al labbro glenoideo per ricreare la normale tensione capsulare.

Nei soggetti dopo i 40 anni si possono osservare degli iniziali processi degenerativi a carico dei tendini della cuffia caratterizzati da perdita di elasticità, comparsa di microcalcificazioni associate a dolore dopo sforzi prolungati e notturno. Se questo processo di degenerazione e di usura tendinea persiste (facilitato dalle eventuali deformazioni artrosiche dell'acromion) o se avviene un trauma alla spalla, si giunge alla rottura della cuffia dei rotatori.

 

 

L' intervento che noi utilizziamo nella patologia della cuffia dei rotatori prevede il trattamento artroscopico dell'eventuale lesione tendinea (pulizia, asportazione della calcificazione reinserzione della cuffia con suture e viti metalliche in titanio o bio-rassorbibili) l'eventuale acromionplastica cioè l'asportazione di una parte di soffitto osseo per aumentare lo spazio tra acromio e cuffia e il trattamento delle lesioni associate (capo lungo del bicipite, acromion-claveare, rigidità capsulare).

Caviglia

Il trauma distorsivo di caviglia rappresenta uno tra i più comuni infortuni negli sportivi. Quando la lesione legamentosa non si ripara si può arrivare all’instabilità articolare che è causa di notevoli disturbi soprattutto nello sportivo a causa dell’impossibilità a svolgere pienamente la sua attività.

Da oltre 25 anni eseguiamo interventi di capsuloplastica esterna di caviglia (intervento di Brostrom-Gould) e di ricostruzione legamentosa con emitendine del peroneo breve, nella cura di instabilità croniche di caviglia in cui la terapia conservativa si è dimostrata insufficiente.

Accanto a questi interventi di chirurgia artrotomica da qualche anno siamo ricorsi con frequenza progressivamente crescente a tecniche di shrinkage (letteralmente “restringimento”) termico capsulo-legamentoso in artroscopia per la cura di quelle instabilità legate a lesioni limitate ai legamenti peroneo-astragalico anteriore (PAA) e, talvolta, al peroneo-calcaneare (PC) (II grado).

Il principio sul quale si basa la tecnica di shrinkage è stato utilizzato clinicamente per la prima volta nei primi anni ’90 per correggere il rilassamento del tessuto capsulare dell’articolazione della spalla.

I primi strumenti utilizzati per l’erogazione di energia termica erano strumenti laser, progressivamente abbandonati e sostituiti da apparecchi a radiofrequenza che producono calore attraverso energia elettrotermica. Questi ultimi si sono infatti dimostrati più economici, di più facile utilizzo e soprattutto associati ad un minor numero di complicanze, elemento probabilmente legato alle particolari modalità d’interazione con i tessuti dell’energia fototermica prodotta dagli strumenti laser. A distanza di più di 10 anni dall’inizio dell’utilizzazione di questa tecnica e supportati dai dati clinici raccolti possiamo affermare di essere soddisfatti.

Negli ultimi anni abbiamo sviluppato un nuovo intervento per le instabilità gravi di caviglia (Bostrom-Gould in artroscopia) che ci permette di ottenere gli stessi risultati di interventi più indaginosi ma eseguendolo in artroscopia. Il vantaggio più importante è per il paziente che può essere dimesso in giornata.

 

Anca

Il trattamento artroscopico delle lesioni dell’anca è difficile a causa della sua profondità anatomica. La sua conformazione necessita di una trazione sull’arto per aprire l’articolazione e rendere possibile l’introduzione di strumenti sotto controllo radiografico. Nonostante queste difficoltà l’artroscopia d’anca sta diventando sempre più richiesta anche se è possibile eseguirla solo in pochi centri specializzati. Le nostre indicazioni a sottoporre un paziente a tale intervento comprendono:  

-        Corpi mobili intrarticolari

-        Condromatosi

-        Frammenti ossei post-frattura/lussazione

-        Lesioni del cercine

-        Lesioni cartilaginee

-        Infezioni

-        Lesioni del leg. rotondo

-        Sindrome da Impingement Femoro-Acetabolare (FAI)

-        Anca dolorosa idiopatica

Queste due ultime patologie sono molto frequenti nei giovani sportivi con una intensa attività fisica (calcio, lotta, arti marziali) e un dimorfismo lieve dell’anca che può essere dovuto ad una alterazione a carico del femore (meccanismo a CAM), più frequente negli uomini, o del labbro acetabolare (meccanismo PINCER) più frequente nelle donne.

Anca

Tra le patologie di più comuni dell’anca segnaliamo:

  • coxartrosi primitive e secondarie;

  • tra le coxartrosi secondarie molto frequenti nel nostro bacino d’utenza sono le displasia congenita dell’anca e gli esiti di osteotomia femorale o di bacino;

L’utilizzo di protesi con componenti modulari dell’anca permette il ripristino della corretta anatomia articolare ed il trattamento delle patologie più complesse, dove la normale anatomia dell’anca è completamente sovvertita.

Da alcuni anni utilizziamo per l’impianto delle protesi dell’anca una tecnica mininvasiva che attraverso un’incisione cutanea di circa 8 cm (contro i 15 tradizionali) permette il perfetto posizionamento della protesi senza danneggiare nessun tendine e nessun muscolo.

I principali vantaggi sono:

  • cicatrice di piccole dimensioni

  • dolore ridotto o assente nei giorni immediatamente successivi all’intervento

  • riduzione del pericolo di lussazione

  • rapida ripresa del lavoro e dell’attività ludico-sportiva

  • riduzione delle perdite di sangue che riducono il rischio di trasfusioni

  • conservazione delle strutture anatomiche in quanto non vengono tagliate

 

Tutto questo rende possibile attuare un intervento molto più gradito al paziente in quanto dal giorno successivo all’intervento è in grado di camminare appoggiando il piede liberamente solo con l’aiuto di 2 stampelle che abbandona nell’arco di 15 gg.

 

Ginocchio

Recentemente la chirurgia del ginocchio ha avuto un nuovo impulso dalla disponibilità di protesi che sempre meglio sono in grado di riprodurre la biomeccanica del ginocchio naturale. La possibilità di scegliere tra diverse soluzioni di materiale, forma, funzionamento, ci ha permesso di ottenere ottimi risultati in grado di soddisfare pienamente il paziente.

Prima di tutto dobbiamo sottolineare la possibilità di trattare il paziente con protesi di dimensioni inferiori che necessitano di incisioni cutanee minime. Queste protesi dette monocompartimentali ci permettono, ormai da oltre 15 anni, di curare l’interessamento di un singolo compartimento permettendo un pieno recupero in pochi giorni e con una minima perdita di sangue. E’ importante in questi casi rispettare attentamente le indicazioni in quanto trasgredirle è sinonimo di un sicuro insuccesso.

Frequentemente le lesioni di un singolo compartimento sono legate ad una rottura del leg. crociato anteriore. In questi caso associamo l’intervento di ricostruzione del LCA con l’impianto di una protesi monocompartimentale ottenendo dei lusinghieri risultati.

Nel caso di interessamento di 2 o 3 compartimenti del ginocchio utilizziamo le protesi dette tricompartimentali o totali che sono in grado di sostituire completamente l’articolazione. In questo caso la nostra scelta ricade su impianti con menisco mobile nei soggetti al di sotto dei 65 anni mentre preferiamo quelle a menisco fisso nei pazienti più anziani. E’ inoltre possibile scegliere tra modelli dedicati esclusivamente al sesso femminile e quelli standard.

 

Caviglia

Nel corso degli ultimi anni abbiamo osservato un aumento delle artropatie degenerative a carico della caviglia. Se da un lato il miglioramento della diagnostica strumentale ha permesso di rilevare un numero maggiore di lesioni dall’altro l’incidenza di questa patologia è decisamente aumentata. Dobbiamo ricordare come una delle cause è senz’altro riferibile all’instabilità articolare post-traumatica dovuta a “banali” distorsioni.

Negli ultimi anni, il trattamento chirurgico della patologia degenerativa è cambiato. Sempre più frequentemente utilizziamo l'artroscopia anche in situazioni complicate o dove il trattamento a cielo aperto può condurre ad un risultato non soddisfacente.

In diversi casi infatti, la giovane età del paziente, la non accettazione di interventi chirurgici più invasivi e l'osservazione di alcuni dati non particolarmente confortanti sugli impianti protesici di caviglia, hanno portato ad una valutazione più approfondita e dettagliata delle applicazioni artroscopiche nella patologia di caviglia.

Si esegue generalmente in anestesia loco-regionale (spinale), epidurale o generale.

La via d'accesso è generalmente antero-laterale o antero-mediale, più raramente postero-laterale. Quest'ultima la utilizziamo solo nel caso di formazioni osteofitosiche posteriori e per l'inflow.

L'ottica viene introdotta in articolazione dal portale antero-laterale a 30° rispetto al piano passante per l'asse della gamba, e attraverso l'introduzione antero-mediale di apparecchi motorizzati, è possibile rimuovere la cartilagine necrotica, le formazioni osteofitiche, eseguire il debridement della ipertrofia sinoviale, estrarre eventuali corpi mobili liberi e ridurre l'impingement osseo.

Mediante tecnica artroscopica è anche possibile eseguire interventi che fino a qualche anno fa erano appannaggio esclusivo della chirurgia open, come l'artrodesi.

Questo trattamento chirurgico è sovente indicato nei pazienti con forme severe di artrite reumatoide, precedente processo osteomielitico o necrosi avascolare o ancora nei gradi più importanti di artrosi degenerativa.

Fino a una decina di anni fa, l'artrodesi veniva eseguita con tecnica aperta attraverso un' incisione anteriore, laterale o mediale; l'incisione posteriore veniva talvolta preferita per un miglior effetto cosmetico.

Attualmente anche per questo tipo di intervento chirurgico si preferisce l'artroscopia.

Mediante incisione antero-laterale e antero-mediale, si introduce l'artroscopio ed attraverso lo strumentario motorizzato si effettua un debridement ed una cruentazione della cartilagine fino all'esposizione dell'osso subcondrale.

Si esegue poi una riduzione con l'ausilio di due-tre viti cannulate che vengono posizionate sotto la guida dell’apparecchio di brillanza.

Il protocollo post-operatorio prevede immobilizzazione dell'articolazione in apparecchio gessato per 6 settimane e per altre 2 settimane libero ma sempre in scarico.

 

Chirurgia del piede

 

Tra le patologie di più comune riscontro che trattiamo ricordiamo:

  • correzione di piede piatto dei bambini e degli adolescenti;

  • correzione di deformità in valgismo dell’alluce, adottando

sia tecniche tradizionali che mini-invasive.

 

Istituto Clinico San Siro IRCCS

Ambulatorio di Ortobiologia

Direttore: Prof. Alberto Ventura


Oggi grazie all’Ortobiologia, settore innovativo della medicina rigenerativa che propone un nuovo approccio terapeutico finalizzato alla rigenerazione biologica del tessuto, anziché alla sua sostituzione, si ottengono interessanti risultati in termini di ripresa della funzionalità articolare, laddove compromessa a seguito di una degenerazione tissutale, questo in particolare in pazienti giovani o di mezza età.
Se la protesizzazione rimane ancora oggi, per la sua efficacia, il trattamento gold standard in caso di gravi quadri degenerativi a carico delle strutture articolari, il futuro sarà probabilmente sempre più nel segno dell’Ortobiologia e di una medicina di prevenzione volta a scongiurare trattamenti invasivi.
Il Centro di Ortobiologia dell’Istituto San Siro di Milano nasce con l’obiettivo di soddisfare una sempre maggiore richiesta di trattamenti rigenerativi a carico dell’apparato muscolo scheletrico. Sempre più persone si dedicano ad attività sportive che se da un lato hanno un’importante valenza salutistica, dall’altro, soprattutto se praticate con assiduità e intensamente, possono danneggiare le articolazioni e portare con il passare degli anni a una degenerazione dei tessuti articolari. D’altro canto, sempre nei Paesi più industrializzati, assistiamo, anche grazie ai significativi progressi della medicina, a un inesorabile invecchiamento della popolazione, fenomeno foriero di patologie muscolo-scheletriche, dove l’usura delle strutture articolari, principalmente degli arti inferiori, è spesso causata da problemi di sovrappeso per un’eccessiva alimentazione legata al benessere di una società più prospera e consumistica. Società dove gli stili di vita sono cambiati, aumentano le esigenze funzionali e con esse il desiderio di mantenere un corpo efficiente e sano anche in età avanzata. Tutto questo si riflette in un’aspettativa crescente nei confronti della medicina rigenerativa per chi soffre di patologie degenerative a carico delle articolazioni, in particolare quella del ginocchio, epicentro spesso di queste problematiche».
Ormai da vent’anni la ricerca clinica riguardante la rigenerazione tissutale prosegue anche se tra luci ed ombre. Sebbene i risultati in termini clinici siano confortanti non sono ad oggi stati prodotti studi scientifici definitivi riguardanti le procedure terapeutiche più efficaci.
Oggi l’Ortobiologia utilizza fattori di crescita e proteine derivate dal sangue, cellule mesenchimali adulte da midollo osseo, da tessuto adiposo, da sangue, per favorire la rigenerazione di cartilagini, tendini e muscoli con risultati interessanti, favorendo sia la modulazione dell’infiammazione e la conseguente riduzione del dolore sia un miglioramento della funzionalità articolare, che consente al paziente di riprendere l’attività sportiva o lavorativa.
Il dolore è il primo sintomo di una possibile patologia degenerativa a carico dell’apparato muscolo-scheletrico. È un campanello d’allarme che spesso passa inosservato; il paziente è propenso a identificarlo come un dolore passeggero, ma con l’acuirsi dello stesso, il suo irradiamento ad altre parti del corpo, il protrarsi anche per giorni e settimane, la difficoltà sempre più a camminare, ci si convince della necessità di un consulto medico. La radiografia consente di valutare se si tratti di un problema degenerativo. Dobbiamo però distinguere due diverse tipologie di paziente, quello più giovane e l’anziano. Nel primo caso, il trattamento prevede la prescrizione di una terapia farmacologica antinfiammatoria volta a ridurre la sintomatologia dolorosa, per poi indagare sulla causa. Spesso si tratta di lesioni cartilaginee e questo viene confermato da una risonanza magnetica. Nel paziente ancora giovane l’ortobiologia offre diverse soluzioni in grado di risolvere il problema. Diverso è invece il caso del paziente anziano, il quale giunge dal medico con una patologia ormai datata causata da un malfunzionamento articolare spesso aggravato da una condizione di sovrappeso. Si tratta quindi di una serie di concause biomeccaniche che perdurano da diverso tempo. Le potenzialità di trattamenti dell’Ortobiologia nel paziente anziano e in presenza di quadri clinici più gravi, si riducono.
Solo in pochi casi la rigenerazione tissutale può essere definitiva, parliamo piuttosto di una ricomposizione parziale del tessuto cartilagineo. Questo evidenzia l’importanza di una medicina preventiva volta a diagnosticare precocemente la patologia prima che il quadro clinico si aggravi. In ogni modo, il soggetto anziano può essere trattato con antidolorifici, verranno indicati: il calo ponderale in caso di sovrappeso, l’attività fisica volta al rinforzo muscolare al fine di alleviare il carico sulle articolazioni, della fisioterapia che potrà essere integrata con terapie fisiche come la tecarterapia, le onde d’urto, la laser terapia, queste ultime a scopo antalgico e comunque solo in soggetti in cui l’artrosi non sia conclamata».
Nello sportivo e nel soggetto giovane, una volta identificata la lesione è possibile trattarla chirurgicamente al fine, in primo luogo, di effettuare un debridement ed una stimolazione
meccanica del focolaio di lesione e quindi di impiantare dei fattori di crescita o delle cellule staminali, i quali potranno essere ricoperti da un tessuto ad hoc al fine di mantenere le cellule staminali o i fattori di crescita sulla lesione e favorire la rigenerazione del tessuto cartilagineo. Per quanto riguarda invece le lesioni tendinee è possibile applicare sui tendini lesionati sia dei fattori di crescita sia cellule staminali. Stesso discorso vale per le lesioni muscolari: sebbene la metodica non sia ancora convalidata da studi scientifici, è possibile applicare sulla lesione dei fattori di crescita che permettano una rigenerazione muscolare più veloce.

laboratorio di ortobiologia
laboratorio di ortobiologia

Le cellule maggiormente utilizzate in Ortobiologia sono quelle mesenchimali che possono essere prelevate dal tessuto osseo o da quello adiposo. Si propende oggi all’uso di cellule mesenchimali da tessuto adiposo prelevate attraverso una piccola incisione sull’addome e liposuzione, poi isolate e iniettate nel tessuto patologico. L’unico motivo di questa preferenza, avvalorato da studi scientifici, riguarda il maggior numero di cellule mesenchimali presenti in questo tessuto, ma si ipotizza anche che queste ultime migliorino la produzione cartilaginea, la lubrificazione delle articolazioni, favoriscano un aumento della distanza tra i capi articolari, tutte quindi funzioni migliorative rispetto a quelle mesenchimali da tessuto osseo.
Se il trattamento con cellule staminali deve essere effettuato in condizioni di massima asepsi, quindi in sala operatoria o in ambienti dedicati, quello con fattori di crescita (in particolare si utilizza il PRP (Plasma Ricco di Piastrine) estratto dal sangue dello stesso paziente e purificato con particolare tecnica di centrifugazione) può avvenire ambulatorialmente. In caso di impianto di cellule staminali si effettua un unico trattamento, dopodiché è possibile agire con 1-2 somministrazioni di fattori di crescita a distanza di 15-30 giorni dall'intervento. Diverso è il discorso del trattamento con fattori di crescita
effettuato a livello ambulatoriale il quale può essere somministrato più volte, di solito 2-3 sedute in relazione al tipo di lesione.
L’Ortobiologia sarà in futuro il trattamento gold standard per quanto riguarda la cura delle lesioni tissutali a carico dell’apparato muscolo scheletrico anche se ancora parecchie sono le difficoltà ancora da superare. Se da un lato non esistono ad oggi studi che quantifichino l’efficacia di questi trattamenti e definiscano delle linee guida, dall’altra il loro costo ( soprattutto quando parliamo di trapianti cartilaginei autologhi) fanno propendere ancora verso soluzioni più economiche e ampiamente collaudate come le artroprotesi. Dovremo inoltre essere in grado in futuro di gestire meglio le cellule staminali, orientandone l’attività, mentre per quanto riguarda i fattori di crescita, individuare quelli più specifici e performanti per ciascun tessuto lesionato, prodotti possibilmente non più da sangue autologo ma direttamente in laboratorio. Se questi sono gli obiettivi futuri della ricerca nel campo della rigenerazione tissutale, dall’altra è auspicabile una maggiore centralità del medico, il quale, alla luce di una migliore conoscenza di queste tecniche innovative, sarà chiamato a dover decidere in maniera più tempestiva e ottimale per risolvere al meglio il problema della degenerazione tissutale. Se oggi il trattamento protesico è il gold standard, in futuro, alla luce delle nuove competenze e acquisizioni nell’ambito dell’Ortobiologia, esso potrebbe lasciare gradualmente il passo ai trattamenti di medicina rigenerativa meno invasivi e più complianti per il paziente.